IL TRIBUNALE REGIONALE PER LE ACQUE PUBBLICHE 
 
    In funzione presso la III Sezione civile della Corte d'appello di
Milano cosi' composto: 
        dott. Anna Maria Peschiera, Presidente; 
        dott. Licinia Petrella, giudice delegato; 
        ing. Alberto Sartori, giudice tecnico, 
nella causa iscritta al numero di ruolo sopra riportato promossa da: 
        Edipower S.p.a. (C.F. 13442230150),  (in  persona  del  dott.
Spiridione Masi Massimiliano) con il patrocinio  dell'avv.  Todarello
Fabio e dell'avv. Novelli Federico (NVLFRC73P24F839M) piazza Velasca,
4 - 20122 Milano; elettivamente domiciliato in piazza  Velasca,  4  -
20122 Milano presso il difensore avv. Todarello Fabio, ricorrente; 
    Contro   Ministero   dello    sviluppo    economico,    Ministero
dell'economia e delle finanze, Agenzia  del  demanio,  Agenzia  delle
entrate,  tutti  con  il  patrocinio  dell'Avvocatura  Stato  Milano,
elettivamente domiciliati in via Freguglia, 1 - 20122  Milano  presso
Avvocatura Stato Milano, resistenti; 
    Oggetto: Controversie di competenza del Tribunale regionale delle
acque pubbliche, 
ha pronunciato la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
    1. Ritiene la Corte che sussistano i  presupposti  per  sollevare
questione  di  legittimita'  costituzionale   dell'art.   15,   comma
6-quinquies decreto-legge n. 78/10, convertito con  legge  n.  122/10
per contrasto con gli artt. 136, 2, 3 e 42 nonche' 24, 97 e 113 Cost. 
    Sussiste nel caso concreto la rilevanza della  questione  dedotta
poiche' la norma richiamata ha nel presente procedimento un'incidenza
attuale e non meramente eventuale, non  potendosi,  nella  decisione,
prescindere dalla sua  applicazione  come  si  evince  da  quanto  di
seguito esposto. 
    La parte ricorrente  Edipower  S.p.a.  ha  chiesto,  con  ricorso
depositato in data 25 giugno 2014, la condanna  del  Ministero  dello
sviluppo economico, del  Ministero  dell'economia  e  delle  finanze,
dell'Agenzia  del  demanio  e   dell'Agenzia   delle   entrate   alla
restituzione  dell'importo  di  €   2.168.250,00   oltre   interessi,
corrisposto dalla ricorrente in favore  dell'Amministrazione  statale
quale «canone aggiuntivo unico» ai  sensi  dell'art.  1,  comma  486,
legge  n.  266/05  («Finanziaria  2006»),  a  fronte  della   proroga
decennale delle concessioni di grande  derivazione  idroelettrica  in
essere in suo favore situate nel territorio lombardo (precisamente  €
1.280.268 per l'anno 2006 ed € 887.982 per l'anno 2007). 
    L'art. 1, comma 485 della legge n. 266/2005  aveva  previsto  che
tutte le concessioni di grande derivazione idroelettrica in corso  al
gennaio 2006 dovevano  intendersi  prorogate  per  10  anni  rispetto
all'originaria scadenza prevista dall'art. 12 del decreto legislativo
n. 791/99, a fronte del pagamento per quattro anni - a decorrere  dal
2006 - di un «canone aggiuntivo unico» pari a € 3.600,00  per  MW  di
potenza nominale installata,  oltre  che  di  congrui  interventi  di
ammodernamento degli impianti (definiti dal successivo comma 487). 
    In forza di detta disposizione la ricorrente aveva provveduto  ai
versamenti suindicati, relativi agli anni 2006 e 2007. 
    Con sentenza n. 1/2008, la Corte  costituzionale,  pronunciandosi
nei  giudizi  promossi  in  via  principale  dalle  regioni  Toscana,
Piemonte,  Campania,  Emilia-Romagna  e  Friuli-Venezia  Giulia,   ha
dichiarato  l'illegittimita'   costituzionale   del   comma   485   e
l'illegittimita' costituzionale derivata del comma 486 ritenendo  che
la  disposta  proroga  concretasse  un'illegittima  violazione  della
competenza regionale,  dovendosi  ritenere  la  materia  compresa  in
quelle  di  legislazione  concorrente  in  materia   di   produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell'energia (art. 117,  comma  3
Cost.). 
    In particolare, per quanto rileva in questa  sede,  la  Corte  ha
dichiarato  l'illegittimita'  derivata  del  comma  486   «il   quale
introduce a carico  dei  concessionari  un  canone  aggiuntivo  quale
corrispettivo della proroga». 
    A  fronte  di  tale  pronuncia,  ha  dedotto  la  ricorrente  che
l'Agenzia del demanio (connota in data 8 aprile 2009 prodotta sub. 3,
indirizzata alla ricorrente ed altre societa'  concessionarie)  aveva
comunicato di essersi  «attivata  per  individuare  la  procedura  da
seguire per la restituzione delle somme versate ai  sensi  del  comma
486 art. 1 della Finanziaria 2006» informando  nel  contempo  che  il
Ministero  dello  sviluppo  economico  si  era  assunto  l'onere   di
interessare  il  Ministero  dell'economia  e  delle  finanze  per  la
«riassegnazione  sul  capitolo   3542   -   restituzione   di   somme
indebitamente versate in entrata - di quanto a suo tempo versato  dai
titolari di concessioni idroelettriche, quale canone  aggiuntivo  per
la proroga decennale». 
    Successivamente, con l'art. 15 comma 6-ter lett. b)  e  lett.  d)
del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (convertito,  con  modifiche,
nella  legge  n.  122/10)  che  modificava  l'art.  12  del   decreto
legislativo 16 marzo 1999, n. 79, le medesime concessioni sono  state
ulteriormente prorogate, rispettivamente, di  cinque  e  sette  anni,
senza previsione di canoni aggiuntivi. 
    Tra  le  finalita'  di  detta  normativa   vi   era   quella   di
«contenimento  della  spesa  pubblica»  perseguita   consentendo   ai
concessionari - con detta proroga - il  recupero  degli  investimenti
effettuati al fine di ottenere la proroga in  forza  della  normativa
pregressa, scongiurando nel contempo  il  rischio  per  lo  Stato  di
vedersi esposto a richieste  di  indennizzi  da  parte  dei  suddetti
concessionari. 
    Il medesimo intento di «contenimento della spesa pubblica» emerge
nella  formulazione  dell'art.  15  comma  6-quinquies:   «le   somme
incassate dai comuni e dallo Stato, versate dai  concessionari  delle
grandi derivazioni  idroelettriche,  antecedentemente  alla  sentenza
della  Corte  costituzionale  n.  1  del  14-18  gennaio  2008,  sono
definitivamente trattenute dagli stessi comuni e dallo Stato». 
    Con sentenza della Corte costituzionale n. 205  del  4-13  luglio
2011 e' stata dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.
15, comma 6-ter lett. b) e d) del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78
convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010,  n.  112  per
contrasto con l'art. 117 Cost.: si legge, in detta pronuncia, che  le
disposizioni impugnate (tra le quali non e' compreso l'art. 15, comma
6-quinquies decreto-legge n.  78/10)  sono  «incoerenti  rispetto  ai
principi  generali,  stabiliti  dalla  legislazione  statale,   della
temporaneita' delle concessioni  e  dell'apertura  alla  concorrenza,
contrastando con i principi, comunitari in materia:  seppure  per  un
periodo temporalmente limitato, esse impediscono l'accesso  di  altri
potenziali  operatori  economici   al   mercato,   ponendo   barriere
all'ingresso tali da alterare la concorrenza tra imprenditori  (sent.
n. 340, n. 233 e n. 180 del 2010)». 
    A fronte dell'ulteriore  pronuncia  di  incostituzionalita',  con
nota del 15 aprile 2013  (doc.  4  ricorrente),  Edipower  S.p.a.  ha
presentato richiesta di restituzione degli importi pagati a titolo di
canone aggiuntivo per gli anni 2006  e  2007  ricevendo  la  risposta
negativa di cui alla nota 24 giugno 2013 dell'Agenzia del demanio con
la quale veniva comunicato  che  gli  importi  versati  non  potevano
essere restituiti «alla luce dell'intervenuto decreto-legge 31 maggio
2010, n. 78, convertito, con la legge 30 luglio 2010, n. 122» (doc. 5
ricorrente). 
    La successiva richiesta di rimborso, inviata dalla ricorrente  al
Ministero per lo sviluppo economico  con  nota  10  luglio  2013,  e'
rimasta senza riscontro di tal che, in data 7 febbraio 2014, e' stata
inviata formale diffida di pagamento agli enti interessati alla quale
faceva riscontro la nota 24 febbraio 2014 con la quale  il  Ministero
per lo sviluppo economico informava di avere  restituito  «alla  fine
del 2012 le somme relative al canone  aggiuntivo  versate  da  alcuni
operatori idroelettrici nei limiti delle risorse riassegnate  con  la
legge di assestamento del bilancio 2012 (Legge 16  ottobre  2012,  n.
182)»,  riservandosi  di  dare  riscontro  a  ulteriori  istanze   di
restituzione dei canoni aggiuntivi all'esito di un  quesito  proposto
all'Avvocatura generale dello Stato, volto a  dirimere  il  contrasto
interpretativo in ordine alla ripetibilita' o meno di tali importi. 
    A seguito di  tali  fatti  la  ricorrente  si  e'  determinata  a
promuovere il presente giudizio. 
    Le parti  convenute,  regolarmente  costituitesi  in  giudizio  a
ministero dell'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano, si sono
opposte  all'accoglimento  della  domanda  richiamando  il   disposto
dell'art. 15, comma 6-quinquies decreto-legge n. 78/10, da  ritenersi
tuttora  vigente   a   fronte   dell'intervenuta   dichiarazione   di
incostituzionalita' del solo art. 15,  comma  6-ter  lett.  b)  e  d)
nonche'  di  parte  dell'art.  15  comma  6-quater  (Corte  cost.  n.
205/2011). 
    Invocando  il  contenuto  inequivoco  di  tale  norma,  le  parti
convenute  si  sono  opposte   alla   restituzione   degli   importi,
trattandosi di somme  incassate  dallo  Stato  antecedentemente  alla
sentenza della Corte costituzionale n. 1 del  14-18  gennaio  2008  e
come tali legalmente trattenute in via definitiva  dall'accipiens  in
virtu' della nota in esame. 
    Assume parte ricorrente che il Tribunale delle  acque  adito,  in
assenza di espressa dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale
del comma 6-quinquies, sarebbe comunque tenuto  a  non  applicare  la
norma poiche' «legata da un nesso di complementarieta' e  insieme  di
subordinazione   funzionale   alla    norma    primaria    dichiarata
costituzionalmente illegittima», nesso che comporta  una  valutazione
da operarsi, volta per volta dal giudice di merito  (Corte  cost.  n.
380/91) e che dovrebbe, nel  caso,  in  esame,  risolversi  in  senso
favorevole alla ricorrente poiche' il versamento di detti canoni  era
da ritenersi inserito quale parte integrante  e  inscindibile  di  un
sistema  sinallagmatico  nel  quale  il  trattenimento   del   canone
aggiuntivo  fungeva  da  controprestazione  della  ulteriore  proroga
concessa nel 2010  (cosi'  come  il  versamento  di  detti  canoni  -
travolto dalla pronuncia di incostituzionalita' n. 1 del 2008 - aveva
costituito, insieme agli investimenti migliorativi, il  corrispettivo
per la proroga del 2005). 
    Deduce,  al  contrario  la  difesa  erariale  che,  per   effetto
dell'art. 27 legge 11 marzo 1953, n. 87 che prevede che  le  sentenze
della Corte costituzionale che  dichiarano  l'incostituzionalita'  di
determinate disposizioni normative, non possono  essere  applicate  a
disposizioni normative  diverse  in  ragione  dell'analogia  o  della
consequenzialita', l'art. 15, comma 6-quiquies del  decreto-legge  31
maggio 2010 convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  30  luglio
2010, n. 122 non puo' essere disapplicato dal giudice  di  merito  in
assenza di pronuncia della Corte costituzionale in proposito. 
    A  sostegno  di  tale   impostazione,   si   legge   nel   parere
dell'Avvocatura generale dello Stato reso in data 22  settembre  2014
(doc. 9 ricorrente) che «non potrebbe  disapplicarsi,  per  contrasto
con i  principi  costituzionali,  l'art.  15,  comma  6-quiquies  del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, senza che si sia  pronunciata  in
proposito la Corte costituzionale, la quale, peraltro, nella sentenza
del 13 luglio 2011, n. 205,  ha  preso  in  considerazione,  sia  pur
fugacemente,  la  citata  disposizione  normativa,   senza   tuttavia
estendere ad essa la declaratoria d'incostituzionalita'». 
    E' indubbio che, l'attivita' di interpretazione  della  norma  in
senso costituzionalmente orientato  non  puo'  estendersi  fino  alla
disapplicazione  diretta  della  disposizione  ritenuta   illegittima
poiche'  cio'  contrasterebbe  con  le   attribuzioni   della   Corte
costituzionale in ordine al  sindacato  di  costituzionalita'  e  con
quelle del potere legislativo in ordine all'abrogazione di norme. 
    La norma in esame, d'altro canto, non determina i criteri per  la
quantificazione di un canone aggiuntivo dovuto per la  proroga  delle
concessioni disposta dal decreto-legge 31 maggio 2010, n.  78  (cosi'
come invece era previsto dal comma 486  della  legge  n.  266/05)  ma
introduce  invece  una  disciplina  di  salvaguardia  degli   effetti
prodottisi e dei rapporti giuridici sorti  sulla  base  dell'art.  1,
comma 486 legge n. 266/05, dichiarato costituzionalmente  illegittimo
in via derivata a seguito della dichiarata illegittimita' della norma
prevedente il rilascio di proroga. 
    Ne consegue che - a differenza del rapporto esistente tra i commi
485 e 486 della legge n. 266/05 - non si ravvisa nel caso  di  specie
il rapporto di  consequenzialita'  invocato  dal  ricorrente  tra  la
declaratoria di  illegittimita'  costituzionale  del  comma  6-quater
lett. b) e d) del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78  convertito  da
legge 30 luglio 2010, n. 122 e il comma 6-quinquies in esame. 
    L'assenza di rapporto di consequenzialita' diretta tra  la  norma
che ha  previsto  la  nuova  proroga  e  la  norma  che  disposto  il
trattenimento da parte dell'accipiens delle somme versate a titolo di
canone  aggiuntivo  in  virtu'  della  normativa   istitutiva   della
precedente proroga, non consente di inapplicare, come  richiesto  dal
ricorrente in comparsa conclusionale, l'art.  15,  comma  6-quinquies
decreto-legge  n.  78/2010  di  tal  che,  nella  valutazione   della
fondatezza  della  domanda,  ineludibile  e  percio'   rilevante   e'
l'applicazione della norma in esame. 
    2. Quanto al secondo requisito della non  manifesta  infondatezza
e' noto che le pronunce di accoglimento  della  Corte  costituzionale
hanno effetto retroattivo, incidendo fin dall'origine sulla validita'
e l'efficacia della norma  dichiarata  contraria  alla  Costituzione,
salvo il limite delle situazioni giuridiche consolidate  per  effetto
di eventi che l'ordinamento giuridico  riconosce  idonei  a  produrre
tale  effetto  (quali  le  sentenze  passate  in  giudicato,   l'atto
amministrativo non piu' impugnabile, la prescrizione e la decadenza). 
    Consolidato in proposito e' l'orientamento del  Supremo  collegio
secondo  cui  le  pronunce  di  accoglimento   delle   questioni   di
legittimita' costituzionale del  giudice  delle  leggi  eliminano  la
norma con effetto «ex tunc»: «fermo restando  il  principio  che  gli
effetti   dell'incostituzionalita'   in    epoca    anteriore    alla
pubblicazione della decisione  non  si  estendono  esclusivamente  ai
rapporti ormai esauriti in modo definitivo, per  avvenuta  formazione
del giudicato o per essersi verificato altro evento cui l'ordinamento
collega il consolidamento del rapporto medesimo, ovvero  per  essersi
verificate preclusioni processuali o  decadenze  e  prescrizioni  non
direttamente  investite,  nei  loro  presupposti   normativi,   dalla
pronuncia d'incostituzionalita'». 
    2.1 - Tenuti presente detti generali principi, non manifestamente
infondata appare il contrasto della norma in esame con  il  parametro
costituzionale previsto dall'art. 136  Cost.  del  quale  costituisce
implicita e non legittima deroga. 
    In forza dell'art. 136  Costa  la  norma  dichiarata  illegittima
cessa di avere effetto dal giorno successivo alla pubblicazione della
decisione ma gli effetti della pronuncia sono retroattivi,  incidendo
fin dall'origine sulla validita' e l'efficacia della norma dichiarata
contraria alla Costituzione, fatto  salvo  esclusivamente  il  limite
delle situazioni giuridiche consolidate per effetto  degli  eventi  -
sopra ricordati - che  l'ordinamento  giuridico  riconosce  idonei  a
produrre tale effetto. 
    Sulla  portata  e  significato  del  precetto  costituzionale  e'
intervenuta recentemente la medesima Corte costituzionale (n. 169/15)
sottolineando  «il  rigoroso  significato   della   norma   contenuta
nell'art. 136 Cost.: su di essa - si e' detto - poggia  il  contenuto
pratico di tutto il sistema delle garanzie costituzionali, in  quanto
essa toglie immediatamente ogni  efficacia  alla  norma  illegittima,
senza possibilita' di compressioni od incrinature  nella  sua  rigida
applicazione». 
    La  medesima  Corte  ha  precisato  che  il  richiamato  precetto
costituzionale sarebbe violato non  solo  in  ipotesi  di  norma  che
preveda  la  conservazione  di  efficacia  della   norma   dichiarata
illegittima ma anche ove una legge perseguisse e  raggiungesse  anche
indirettamente lo stesso risultato (n. 88/66  e,  successivamente  n.
73/13, n. 245/12, n. 354/10). 
    Utile il  richiamo  a  ulteriore  passaggio  motivazionale  della
richiamata sentenza n. 169/15 laddove si afferma che  se  «certamente
il legislatore resta titolare del  potere  di  disciplinare,  con  un
nuovo atto, la stessa materia, e' senz'altro da escludere  che  possa
legittimamente  farlo  (...)  limitandosi  a  "salvare",  e  cioe'  a
"mantenere  in  vita"  o  a  ripristinare  gli  effetti  prodotti  da
disposizioni che, in ragione della  dichiarazione  di  illegittimita'
costituzionale, non sono piu' in grado di produrne». 
    Ritiene il Tribunale che il legislatore,  nell'introdurre  l'art.
15, comma 6-quinquies decreto-legge n. 78/10, convertito con legge n.
122/10  sia  venuto  meno  ai   vincoli   impostigli   dal   precetto
costituzionale consolidando in capo allo  Stato,  nell'ambito  di  un
rapporto  di  durata  come  quello  concessorio,  gli  effetti  delle
attribuzioni patrimoniali eseguite  dai  concessionari  a  titolo  di
canone aggiuntivo quale corrispettivo della proroga  di  concessione,
proroga venuta meno a seguito  della  incostituzionalita'  dichiarata
delle relative norme. 
    Significativa appare del resto la  circostanza,  emergente  dagli
atti (nota del Ministero dello sviluppo economico 18 febbraio 2014  -
doc. 8 ricorrente) che il Ministero abbia «restituito alla  fine  del
2012 le  somme  relative  al  canone  aggiuntivo  versate  da  alcuni
operatori idroelettrici, nei limiti delle risorse riassegnate con  la
legge di assestamento di bilancio 2012»,  decidendo  in  seguito,  in
base al rigetto  di  analoghe  richieste  di  restituzione  da  parte
dell'Agenzia del  demanio,  di  proporre  un  quesito  all'Avvocatura
generale dello Stato pronunciatasi con il parere  22  settembre  2014
prodotto dalla ricorrente. 
    2.2 - La norma in esame contrasta altresi' con i principi di  cui
agli artt. 3 e 42 Cost.: nella sua formulazione detta norma impone ai
concessionari  di  grandi  derivazioni  per  uso  idroelettrico   una
prestazione  patrimoniale  ingiustificata  essendo  venuta  meno   la
«controprestazione»  ad  essa  funzionalmente  collegata,  ovvero  la
proroga della concessione in essere. 
    Osserva  sul  punto  l'Avvocatura  generale   dello   Stato   nel
richiamato parere: «non potrebbe costituire  un  adeguato  titolo  in
favore del trattenimento dell'incasso,  infatti,  il  mero,  sia  pur
riconosciuto,  scopo   di   contenere   la   spesa   pubblica,   data
l'irragionevolezza   di   imporre   delle   prestazioni   prive    di
corrispettivo ad alcuni soggetti e non ad altri  che  si  trovino  in
situazioni simili». 
    Tale  effetto  appare  in   contrasto   con   il   principio   di
ragionevolezza (corollario del  principio  di  uguaglianza  enunciato
all'art. 3 Cost.) apparendo detta prestazione patrimoniale  priva  di
titolo giustificativo  «distorsiva  del  mercato  concorrenziale  tra
produttori di energia elettrica» (parere Avvocatura generale cit.). 
    2.3  -  Non  manifestamente  infondata  appare  la  questione  di
legittimita'   costituzionale   sotto   l'ulteriore   profilo   della
violazione degli artt. 24, 97 e 113 Cost. dedotta dalla ricorrente. 
    Nel disporre il trattenimento degli importi versati a  titolo  di
canone aggiuntivo quale corrispettivo di una proroga non attuata,  la
norma in esame impedisce la tutela giurisdizionale  del  diritto  dei
concessionari ad  ottenere  il  rimborso  delle  somme  indebitamente
corrisposte vanificando l'effettivita' della  tutela  giurisdizionale
di tale diritto di credito.